Avete presente quei video dove vi fanno vedere come si preparano i cibi per le pubblicità, dove la colla sostituisce la maionese e il gesso il gelato, cui seguono inesorabili e immancabili commenti del pubblico indignato che grida alla truffa e alla sofisticazione? Ebbene, chi si indigna non fa i conti con il cibo, quello vero: provate voi a fare stare ‘in posa’ un gelato per ore sotto ai riflettori, mentre si cerca la luce giusta, l’angolazione migliore, si cambiano gli obiettivi, si provano i diversi accostamenti con l’arredo tavola, ore e ore, mentre la natura fa il suo corso e squaglia la vostra impeccabile messa in posa.
O provate a spiegare alla maionese che deve proprio stare ferma con quel suo vezzoso ricciolo all’insù e quel suo colorito etereo, mentre lampade da 180 watt letteralmente cuociono le sue molecole. Comprereste poi un gelato che si presenta semi sciolto, con la ciliegina penzolante da una parte o una salsa con la patina di ossidazione in primo piano? Credo di no. Chi ricorre a questi espedienti per ritrarre un piatto in tutto il suo splendore non è un truffatore, ma un o una professionista che conosce bene la fisica dei materiali, i segreti della fotografia e della cucina per rendere al meglio una food experience visiva.
A Milano il Master in food design
E’ il food stylist. Ovvero chi sa rendere un piatto attraente per il set fotografico e ha cura che resti tale fino alla foto finale o all’ultimo fotogramma. Ma non solo. Al food stylist è richiesta anche la capacità di comporre immagini e l’abilità di tradurre le sensazioni olfattive, gustative e tutta l’attrattiva di un piatto reale in una foto bidimensionale. Un bell’impegno che pochi sanno portare a termine in modo eccellente e che richiede competenze specifiche. «Se lei chiede a un americano che cos’è il food styling – spiega Antonello Fusetti, director della Scuola Politecnica di Design di Milano, che lo scorso anno ha inaugurato il Master in Food Design – capirà che è un mestiere diverso rispetto a quello che comunemente si intende in Italia. Per loro è solo l’arte di preparare il cibo per la camera, video o foto che sia. Da noi, invece, il mestiere ha confini più sfumati, o meglio che vanno oltre questo aspetto così specializzato. Spesso, infatti, è colui che si occupa degli aspetti estetici, emotivi, simbolici e di design di un piatto. Il rischio è che l’argomento diventi talmente ampio da far ricadere un po’ tutto sotto il cappello del food styling, a volte perfino il semplice impiattamento, mentre non è così».
Non solo pubblicità: più richieste da magazine e blog
Sbocchi professionali? Molti, ma solo per chi sa porsi ad alti livelli. Dalla fotografia specializzata agli spot pubblicitari, dalle riviste di cucina alla consulenza per gli chef, agli eventi legati al food – dove sono sempre più richieste presentazioni spettacolari e invitanti -, questa professione ha sulla carta diverse possibilità di carriera. In, pratica, invece, sono pochissimi in Italia coloro che hanno intrapreso questa strada a tempo pieno.
«Solo da quattro-cinque anni – afferma Aaron Gomez Figueroa, grafico e fotografo in campo gastronomico presso l’Università degli studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – è diventata una professione a sé: sono in aumento i magazine e i blog dove è richiesta più qualità, più personalizzazione e meno foto di agenzia. Anche le stesse vendite on line necessitano di professionisti che sappiano preparare i cibi nel modo ottimale per essere fotografato».
Gomez prima di giungere all’Unisg ha lavorato come designer, grafico e fotografo. «Quando sono arrivato a Pollenzo – racconta – ho imparato a lavorare con il food a 360° e ho appreso un approccio totalmente diverso con esso: ho imparato a mettere in risalto non solo l’estetica di un piatto, ma anche tutto il mondo, i valori e i concetti che stanno dietro un cibo o un brand». Presso l’Università Gastronomica ancora non vi è un corso interamente dedicato al food styling, ma se ne apprendono le nozioni con i corsi di fotografia all’interno del master in Food Culture: Food, Place & Identity, cui prendono parte molti futuri chef e gastronomi.
Servono anche conoscenze di chimica
«Le conoscenze richieste a un food stylist – spiega Alberto Cocchi, fotografo e docente di fotografia food in Unisg – devono obbligatoriamente comprendere anche la chimica, la cucina, l’estetica, l’illuminazione e le reazioni degli alimenti alla cottura. Dipende dal tipo di foto o film che si deve realizzare. Bisogna, infatti, distinguere tra immagini destinate alla pubblicità o al packaging e immagini destinate all’editoria». Nel primo caso, come si accennava, la tipologia di immagine e i tempi di posa richiedono quasi obbligatoriamente materiali alternativi al cibo: colla vinilica al posto del latte per far galleggiare i cereali, gesso per il gelato, lacca per lucidare le superfici. Nel caso delle immagini dedicate all’editoria, invece, l’alimento deve essere il più naturale possibile e raramente sono utilizzati materiali alternativi, quanto piuttosto specifiche conoscenze di reazioni alle tecniche di cucina: shock termici per mantenere intatti i verdi, cotture quasi inesistenti o particolari marinature per conservare i colori e le consistenze.
Il ruolo del fotografo
«E’ importante saper maneggiare il cibo che deve essere fotografato o filmato – conclude Cocchi. Per noi fotografi di food, la figura dello stylist è fondamentale e sempre più necessaria. E non è raro che le due figure si sovrappongano, per via dei budget spesso ristretti destinati agli shooting: i committenti sono sempre meno disponibili a riservare una cifra aggiuntiva, tra i 400 e gli 800 euro circa, per lo stylist. Conoscere questa arte, quindi, rappresenta una marcia in più per fotografi e filmmaker».
Non esistono, al momento, corsi o master dedicati esclusivamente al food styling, salvo casi di scuole o insegnanti privati. A marzo, però, partirà il primo master a Milano. Attualmente food styling è una delle materie all’interno del master di Food Design della Scuola Politecnica di Design, ma entro la prossima primavera diventerà un corso a se stante. «Vorrei che si imparasse un approccio più contemporaneo al food styling – commenta Fusetti, ideatore del master. Basta con questi richiami al passato, l’Italia dovrebbe imparare a guardare avanti anche nella presentazione dei piatti e nella comunicazione del cibo. Penso a ispiratori come Gualtiero Marchesi che in alcuni suoi piatti richiama Pollock o alla straordinaria modernità delle creazioni di Bottura e Scabin». Il corso si prefigge quindi non solo di mostrare i piatti, ma anche e soprattutto performance e modi di fruizione innovativi.
Ore faticose sul set
Diverso è il caso di chi lavora con i video, per cui sottolinea Maria Greco Naccarato «non esistono scuole o corsi, s’impara solo affiancando un professionista già avviato. Nessuna scuola ti potrà insegnare come muoverti sul set, come affrontare i vari ruoli, come relazionarti col cliente e con il regista e come preparare la scena». E poi si tratta di un mercato ancora più chiuso e tecnico rispetto a quello fotografico: «I committenti sono molto abitudinari – chiarisce – e si affidano solo a persone fidate e squadre rodate. Chi deve maneggiare il loro prodotto deve avere lo stesso rapporto di fiducia come la truccatrice con la star». Difficilmente quindi un marchio abbandona il proprio shooting stylist di fiducia. Se a questo si aggiunge anche che le grande aziende tendono a centralizzare la produzione di spot per tutti i loro mercati, ecco che il panorama delle possibilità lavorative si restringe ancor di più. «E’ anche un lavoro faticoso dal punto di vista fisico – sottolinea Greco Naccarato, che vive tra Milano e Parigi e lavora per le maggiori aziende di food italiane ed estere – poiché di solito si ha solo un giorno per le riprese e non si stacca finché non si ha finito: diverse ore in piedi a montare e rimontare set e scenografie, portare e spostare attrezzature, stoviglie, arredamento. Ed è anche molto stressante, poiché tutti si aspettano risultati perfetti».
foto di Alberto Cocchi
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